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Nel cuore della Barbagia, il Carnevale di Gavoi si distingue per il suo profondo legame con la musica, con Su Sonu a scandire il ritmo della festa. Protagonisti assoluti di questa tradizione sono Sos Tumbarinos, i tamburini gavoesi, che con le loro percussioni creano un’atmosfera vibrante e coinvolgente, perpetuando un rito dalle origini antiche.
I festeggiamenti prendono il via nel giovedì grasso, conosciuto come “Jobia Lardajola”, una giornata dedicata alla condivisione della tradizionale favata con lardo, simbolo della convivialità del paese. È in questo momento che le strade di Gavoi si riempiono del suono incessante dei tamburi, realizzati artigianalmente con pelli di pecora e capra.
Ad arricchire la melodia del Carnevale intervengono altri strumenti tipici:
- Su Pipiolu, il piffero pastorale,
- Su Triangulu, il triangolo metallico,
- Su Tumborro, uno strumento a corda dal suono profondo e ipnotico.
Per cinque giorni la comunità si lascia trasportare dai ritmi arcaici, in un vortice di danze e canti che culminano nel martedì grasso, quando Gavoi saluta il Carnevale con il suggestivo rogo di Zizzarone, il fantoccio che incarna lo spirito della festa.
Ma il cuore di questa tradizione risiede anche nell’arte della costruzione dei tamburi, frutto di ingegno e creatività popolare. Per realizzarli si attinge agli oggetti della vita quotidiana: dai setacci per la farina alle forme per il pecorino, dai secchi di sughero usati per la mungitura (Sos Malùnes) fino ai grandi contenitori per il grano (Sos Majos). Ogni strumento diventa così un pezzo unico, carico di storia e memoria collettiva.
Partecipare al Carnevale di Gavoi significa immergersi in una celebrazione autentica, dove suoni e tradizioni secolari si fondono in un’esperienza indimenticabile. Se volete scoprire l’anima più profonda della Barbagia, non perdete l’occasione di vivere questa straordinaria festa!
“SU HARRASEHARE GAVOESU” SCUOLA MEDIA G.M. PELLEU – ANNO SCOLASTICO 1999/2000
Il giovedì grasso e’ il giorno che apre il carnevale gavoese. Durante la mattina gli alunni delle scuole materne ed elementari sfilano per le vie del paese con costumi colorati come principesse, indiani, principi, arlecchini ecc… Nel pomeriggio invece c’e’ la sfilata più importante esattamente quella de “sos tumbarinos “. Bambini, giovani e adulti indossano il costume di velluto, un paio di scarpe chiamate sos husinzos , sos cambales (anche se sono stati importati da altri paesi), e in fine su tumbarinu, uno strumento tipicamente Gavoese fatto di pelle di capra. Verso le tre e mezzo del pomeriggio queste persone si incontrano in alcune piazze e solitamente sono due gruppi che si riuniscono in due piazze diverse. Cosi, per tutto il pomeriggio girano per le strade del paese sino alla notte bevendo e ballando.
Questo è più o meno quello che succede oggi. In altri tempi il giovedì grasso veniva festeggiato in modo totalmente diverso. Al mattino non c’era nessuna sfilata da parte dei bambini, ma i pastori rientravano in paese con formaggio fresco, agnellini e maialetti; le donne per fare festa preparavano i dolci tipici di Gavoi: sas zippulas , sos pilicchittos, ma anche sos hulurzones e sas sevadas .
Durante il pomeriggio gruppi di uomini passeggiavano per la via suonando sos tumbarinos, su pipiholu e su triangulu. Ballavano e cantavano il ballo sardo e portavano con loro un uomo povero e un po’ sprovveduto che veniva chiamato” su Dominicheddu”.
Questo uomo veniva trascinato di casa in casa e veniva ridicolizzato con degli scherzi spesso pesanti da parte de “sas cambaradas”, composte da gruppi di giovani e adulti, che si salutavano recitando una filastrocca “a harrasehare, pilicchittos a dare”. Le donne che avevano preparato i dolci , ospitavano sas cambaradas offrendo loro salsicce e dell’ ottimo vino come spuntino. Nelle strade si sentiva il rumore dei tumbarini da cui deriva l’usanza di oggi, esattamente quella ” de sa “sortilla e tumbarinos”. Questi gruppi di persone visitavano le case sino a tarda notte. Di venerdì invece, sia oggi che un tempo, non viene eseguito nessun festeggiamento e così il sabato. La domenica si riapre il carnevale e rincominciano i festeggiamenti con le sfilate dei bambini che si divertono camminando per le vie del paese e sfoggiano i loro vestiti sgargianti. Queste sfilate avvengono il pomeriggio con tanti carri. Alla fine si riuniscono nella piazza di san Gavino e nel salone parrocchiale ballano e cantano. Sempre nel passato, sia la domenica che il lunedì di carnevale, avvenivano le sfilate con sos tumbarinos; più tardi e i suonatori si riunivano nelle case per ricevere come al solito salsicce e vino per la loro merenda. Oggi durante il lunedì avvengono le sfilate degli adulti con carri fantasiosi e musica. Anche questi si prolungano sino alla notte bevendo e cantando. Il giorno successivo, cioè il martedì , durante la mattina e il pomeriggio non avviene niente di importante se non qualche mascherina che va di casa in casa. La sera o anche la notte però viene fatto bruciare un pupazzo fatte di stracci, chiamato Zizzarrone; ogni tanto viene bruciato anche Mariarosa e suo figlio Marieddu. Secondo altri pareri però non esisteva nessun fuoco, Zizzarrone non veniva bruciato, ma conservato, e non esistevano né Mariarosa né Marieddu; bensì Zizzarrone e Maria Frigonza. Zizzarrone veniva messo su un carretto ed era fatto di paglia. All’ interno aveva un piccolo barile che serviva per contenere il vino che ,veniva offerto dal paese. Secondo coloro che pensano che Zizzarone venisse bruciato, le ceneri rimanenti, venivano utilizzate dai giovani (sos intinghidores), per fare le croci alle persone che passavano nella piazza di “sa Serra”, dove i ragazzi si riunivano. Oggi però insieme al fantoccio, vengono bruciate per di più plastica e palme dell’anno precedente; quindi per fare i segni vengono utilizzati dei tappi di sughero che, bruciati, possono sostituire la cenere. In altri tempi invece il lunedì, gli uomini portavano il pupazzo sopra ad un asino finto nelle case, dove , come sempre, mangiavano e bevevano.
La sera cosi si portava a san Gavino e, condannato a morte, veniva bruciato con sua moglie. L’ indomani cosi veniva presa la cenere e gli uomini facevano delle croci nella fronte dei malcapitati che passavano in piazza, soprattutto te ragazze, che preferivano non essere sporcate. Quel giorno infatti non usciva proprio nessuno di casa per paura de sos intinghidores. Era quindi una vera battaglia fra uomini e donne.
